Sfingi, orsi, teste di morto, o spaventosamente simili a volti umani e, come tali, assai espressivi. Benvenuti nel mondo delle rocce in Sardegna che molto spesso vengono scambiate per opere dell’uomo, per “sculture” prodotte da mani anonime. Seppure in realtà, molte di queste pietre hanno origini naturali.
Oggi ci occuperemo delle SFINGI o presunte tali. Eccone alcune.
Capita ad esempio che la SFINGE SARDA situata in Gallura sia stata apostrofata come un “segno” tangibile del passaggio di non meglio precisate civiltà scomparse. Più che altro una roccia modellata più dal vento e dalla pioggia e non dall’uomo.
Una creatura partorita da madre natura dunque, in milioni di anni, e che si erge per 10 metri d’altezza e 15 di lunghezza. Certo, forse l’uomo ci avrà anche messo mano su questa roccia situata in un terreno privato. Infatti è rimasta sconosciuta ai più.
È pur vero che queste rocce ricordano quelle egizie ma, in questo caso gallurese, la leggenda asserisce che il viso raffigurato sarebbe quello di “zio Maltinu”, un pastore del posto che fu trovato senza vita ai piedi di questa formazione rocciosa. Ricca di misteri.
Ma spostiamoci in altre parti dell’isola alla riscoperta delle “sfingi” sarde o presunte tali.
Eccoci a San Giovanni Suerhiu dove, salendo in alto sulla cresta di una montagna, troniamo quella che parrebbe la testa di una antica divinità egizia! Sì, avete letto bene, ma testa di un faraone o, forse, di una sfinge. Una doccia alta una decina di metri, con occhi, naso, bocca, mento, ex un lungo collo. Anche in questo caso sorge spontaneo chiedersi: opera di madre natura o dell’uomo?
Osserviamola meglio…
Occhi neri e fondi, è incigliata, la sfinge di San Giovanni Suergiu; impressionante. E se l’avesse scolpita l’uomo, quando e perché avrebbe agito così, con quali strumenti, o scalpelli, e magari impalcature? Chissà.
Ed ora indossiamo maschera e pinne. Andiamo sott’acqua. Immergiamoci nelle coste della Sardegna piene di relitti di antiche navi, segni di civiltà del passato e poi una scultura incredibile come quella notata da Onofrio Di Graci.
Esiste poi, sempre in Sardegna, una quarta sfinge. O meglio, una roccia “con fattezze feline” situata nella penisola del Sinis.
Eccola in tutto il suo splendore, con un “abbozzo” di zampe in avanti, distese, ma oramai privata, forse, della sua testa originaria.
«La sfinge del Sinis? L’ho trovata io, ho tante foto che lo dimostrano» disse, nel 2011 ai media, Stefano Sanna.
Appassionato di trekking e archeologia, Sanna rispedì al mittente quanto altri appassionati avevano raccontato a giornali e tv. Il giovane archeologo dilettante era saltato sulla sedia quando aveva visto un’altra persona accaparrarsi i meriti della scoperta.
È una scoperta curiosa che, secondo lui, arriverebbe da un passato lontanissimo: «Il 20 aprile di un anno fa, avevo anche segnalato la presenza di una struttura in roccia, che secondo me raffigurava un felino, all’archeologa Carla Del Vais della Soprintendenza», raccontò Stefano che, in quell’occasione, si era comportato come dovrebbero fare tutti gli archeologi dilettanti.
«Secondo l’esperta, però, si trattava di una strana combinazione tra i tagli della cava romana che era attiva nella zona e l’azione degli agenti atmosferici.
Non avevo perso la speranza di aver fatto una scoperta sensazionale e ho documentato tutto con la mia macchina fotografica».
La stessa roccia dalle fattezze feline è stata anche oggetto di ricostruzione ideale, come ha fatto Salvatore Zedda che ci ha idealmente montato sopra una testa.
Oggi, a distanza di anni, la sfinge del Sinis fa ancora discutere qualificati archeologi, geologi, scopritori d’ultima generazione.
Perché le statue naturali della Sardegna, come per magia, sono capaci di catturare l’attenzione. E andrebbero tutelate, siano esse naturali, artificiali, semi-tali; in ogni caso, da tramandate ai posteri.
PS. In Sardegna sono state comunque scoperte delle sfingi, già note anche in letteratura archeologica e più che altro statue di modeste dimensioni. Un approfondimento verrà dedicato a questo argomento.