Tuvixeddu

Tuvixeddu e la sua necropoli: ma quando verranno aperti al turismo?

La necropoli in una immagine di Marcello PolastriDispiace e rattrista che un posto di grande fascino e interesse come la Necropoli di Tuvixeddu sia ancora al centro di aspre polemiche.

La necropoli in una immagine di Marcello Polastri

Questo luogo dell’identità potrebbe diventare epicentro turistico a livello mondiale, ma continua a restare in un deplorevole stato di degrado.

Conobbi il sacro colle quando ero poco più che bambino: ettari e ettari di sterpaglie, che funzionavano ad intermittenza tra i nidi delle vespe e una miriade di pozzi scavati nella roccia dai coloni fenicie punici, ma tristemente invasi di spazzatura.

Basti pensare che nel 1994, con un gruppo di coetanei, avevo sottratto ai tombaroli anfore e reperti preziosi, nascosti in fondo ad un sepolcro vecchio di duemila anni.

La situazione non è poi tanto cambiata. E quel che sorprende maggiormente è un fatto: pochi conoscono per davvero Tuvixeddu, le sue cave di pietra denominate Canyon e il Catino, che diedero per mano della Società Italcementi la calce e il cemento utili, nel secondo dopoguerra, per ricostruire Cagliari dilaniata dalle bombe, e per creare infrastrutture in mezza Europa, ad esempio le grandi dighe (quella sul Cixerri), importanti centrale come quella di Ozieri e interi centri urbani come Milano due.

Le mine esplosive dei cavapietre hanno fatto brillare, dal 1800 al 1970 le pareti calcaree di tombe, sepolcri e altri ipogei, quelli che rappresentano l’immagine-simbolo di Tuvixeddu.Eppure esiste una seconda faccia di Tuvixeddu fatta di gallerie sotterranee lunghe chilometri, di vari acquedotti scavati nella roccia dagli antichi Romani.

Non tutto è stato scavato scientificamente e dalla mano degli archeologi e così il sacro colle è un tesoro tutto da scoprire. E da leggere, attraverso i segni incisi dall’uomo nella dura pietra. Ora, è tempo di agire. E’ giunta l’ora di rendere onore al lavoro svolto dai nostri progenitori fenici, punici e romani in questo angolo di città che per troppo tempo ha sofferto. Tra indifferenza, incapacità politica e amministrativa di fare per davvero di Tuvixeddu una risorsa della collettività.

Marcello Polastri

 

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Tuvixeddu, ecco le carte del lodo: «Illegittimo il blocco dei cantieri».

Accordo valido perché firmato prima dell’entrata in vigore del Ppr.
 

 

Per due anni, dal 9 agosto 2006 al 4 agosto 2008, la giunta guidata da Renato Soru sospese illegittimamente i cantieri edili avviati da Coimpresa a Tuvixeddu. Lo fece allo scopo di «attuare la finalità non conforme alla legge» di favorire un nuovo progetto di valorizzazione dell’area – quello affidato all’architetto francese Gilles Clement – e così causò alla società del costruttore Gualtiero Cualbu, che si era pesantemente indebitata con le banche, un gravissimo danno. Ma non è tutto: i vincoli imposti dal Piano paesaggistico regionale non avrebbero potuto bloccare l’investimento privato in quanto l’accordo di programma tra impresa, Comune e Regione era stato adottato nel 2000, ben prima dell’entrata in vigore Ppr. Per questo i danni si sono protratti quasi sino ai giorni nostri.

Eccoli i punti cruciali dell’arbitrato che il 19 marzo ha riconosciuto a maggioranza (due voti a uno) un risarcimento record di 77 milioni e 827.800 euro in favore del costruttore cagliaritano, condannando la Regione a pagare anche 187.500 euro di spese di giudizio. Un lodo composto da 60 pagine, a cui ne sono allegate altre 66 della relazione di minoranza dell’ex magistrato Giovanni Olla, arbitro per conto dell’amministrazione regionale anche se nominato dal presidente del Tribunale di Cagliari.

IL BLOCCO DEI CANTIERI. Uno dei passaggi fondamentali è a pagina 41, laddove si legge che riguardo al blocco dei lavori dal 9 agosto 2006 al 4 dicembre 2008 «la Regione – dopo aver deciso di sottoscrivere assieme a Coimpresa e ad altri soggetti pubblici e privati l’accordo del 2000, recante l’approvazione del progetto di riqualificazione dell’area – ha» col suo agire «impedito alla società attrice di svolgere nel periodo in esame le attività cui si era impegnata per la realizzazione del progetto, con la piena consapevolezza, anzi nel preciso intento (accertato dal giudice amministrativo) di attuare una finalità non conforme a legge».

Un punto questo parzialmente condiviso pure da Olla, che nella sua relazione di minoranza, dopo aver contrastato molte delle tesi degli altri due componenti del collegio – Nicolò Lipari, docente della Sapienza di Roma, nominato da Cualbu e Franco Bilè, presidente emerito della Corte costituzionale -, riconosce comunque a Coimpresa il diritto a ottenere un risarcimento per quei due anni di stop ingiustificato ai cantieri, seppur di “soli” 3 milioni e 650mila euro.

LE DUE DATE. Ma perché queste due date? Il 9 agosto 2006 è il giorno in cui – col decreto 2323 – l’allora assessore alla Cultura Maria Antonietta Mongiu dichiarò l’area di Tuvixeddu di «notevole interesse pubblico» bloccando così i lavori che Coimpresa aveva già avviato.

Da quel momento si susseguirono una serie di atti della giunta Soru, culminati nella delibera 31/12 del 22 agosto 2007 con cui, accogliendo la proposta della commissione paesaggio appena costituita, fu apposto il vincolo paesaggistico totale.

Vincolo che il 4 agosto del 2008 il Consiglio di Stato, con sentenza 3894, dichiarò illegittimo, in quanto, tra le altre cose, la commissione paesaggio non era stata istituita con legge regionale. Ma non solo.

«Sul punto – si legge nel lodo – il Consiglio di Stato ha rilevato che i mutati orientamenti in materia paesaggistica» «non avrebbero potuto essere calati autoritativamente sulle realtà locali e così incidere sugli assetti urbanistici se non previa consultazione delle amministrazioni locali – nella specie del tutto mancata – per ricercare idonei accordi».

IL PROGETTO CLEMENT. Gli arbitri ricordano inoltre che i giudici amministrativi qualificarono come «sintomo di grave eccesso di potere, sotto il profilo dello sviamento, l’esplicito riferimento della delibera del 22 agosto 2007 al progetto del professor Clement», l’architetto francese che fu incaricato da Soru di predisporre un piano per Tuvixeddu alternativo a quello di Cualbu. E giungono alla stessa conclusione: che in realtà il vincolo «era preordinato al conseguimento di una finalità non conforme alla legge», quale appunto «la realizzazione di un progetto di non definita origine e non precisate fonti approvative» che sostituiva il precedente accordo.

IL PIANO PAESAGGISTICO. L’altro snodo cruciale riguarda il Piano paesaggistico regionale. I legali dell’amministrazione sostenevano che, in ogni caso, il blocco illegittimo dei cantieri di Cualbu era durato appena un mese, visto che il Ppr entrò in vigore l’8 settembre 2006. Per gli arbitri però al caso Tuvixeddu non è applicabile «l’articolo 49 delle norme transitorie del Ppr» che «vieta ogni edificazione o altra azione idonea a compromettere la tutela finché i piani urbanistici comunali non siano stati adeguati al piano regionale», bensì il terzo comma dell’articolo 15 secondo cui «nei comuni dotati come Cagliari di piano urbanistico possono essere realizzati gli interventi previsti purché approvati e con convenzione efficace alla data di adozione del piano paesaggistico regionale».

E nessun rilievo può essere dato alla sentenza del Consiglio di Stato del marzo 2011 che, ribaltando quanto stabilito dal Tar, dichiarò legittimi i vincoli imposti dal Ppr a Tuvixeddu. L’intervento dei giudici di secondo grado, infatti, «ha riguardato solo la parte della sentenza (del Tar) concernente la perimetrazione cartografica dell’area» ma non «la diversa parte», dunque «passata in giudicato», nella quale il Tribunale aveva affermato che il Ppr «non incide sugli accordi di programma approvati, come nella specie, con convenzione efficace alla data della sua adozione».

 

I CALCOLI DEL RISARCIMENTO. Ed è proprio la non applicabilità dei vincoli del Ppr all’accordo di programma del 2000 che risede la ragione per cui, secondo gli arbitri, Coimpresa ha continuato a subire un danno ingiusto sino al 31 gennaio 2012, data in cui «la realizzazione del progetto è diventata impossibile».

Ergo anche sotto la giunta Cappellacci, seppur in questo caso le responsabilità sono anche degli altri enti coinvolti nella complessa vicenda: la Sovrintendenza, il Ministero dei beni culturali e il Comune. Ciò nonostante – concludono gli arbitri – «Coimpresa può ben agire nei confronti della Regione per il risarcimento del danno subito a causa del blocco dei lavori per l’intera durata del secondo periodo, poiché le condotte in esso tenute dal Ministero e dal Comune, non hanno reciso il nesso tra i comportamenti della Regione e gli eventi dannosi costituiti dai ritardi». Conto finale: 77 milioni, 827mila e 800 euro.

 

Fonte: L’Unione Sarda 7 maggio 2013. Articolo di Massimo Ledda.

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