Tuvixeddu in una foto di M. Polastri - archivio del GCC

E la necropoli di Tuvixeddu mostrò i suoi tesori

Tuvixeddu in una foto di M. Polastri - archivio del GCCL’interesse dei nostri esploratori per Tuvixeddu, è stato trasmesso dal leader e fondatore del GCC, Marcello Polastri che, fin da adolescente, si occupò dell’area funeraria fenico-punica e romana a ridosso del viale Sant’Avendrace.

 

QUANDO UNA TOMBA VIOLATA RESTITUI’ UN PREZIOSO OGGETTO

 

Tuvixeddu in una foto di M. Polastri - archivio del GCCTuvixeddu è un colle tutto cavo. Tuvixeddu, già… “tuvuru”, “vuoto”, ricco di pozzi che danno accesso alle camere funerarie. Stanze scavate nella roccia, usate dai necrofori per seppellire i loro cari estinti.

E’ una collina di tesori: suppellettili funerarie, tra gioielli, amuleti, porta-profumi, rudimentali biberon in terracotta, ed altre curiosità.
Basti pensare che un giorno, mentre imperversava un temporale, cinque ragazzini (tra i quali Marcello Polastri, Diego Scano, Stefano Cao), si calarono attraverso un pozzo all’interno di una delle tante tombe.

Incuriositi dai segni di manomissioni, di scalfiture sulla roccia, i ragazzi varcarono l’oscuro ingresso della camera funeraria, con l’ausilio di un accendino. L’ipogeo era largo circa due metri, altrettanto lungo, altro poco meno.

Regnava l’oscurià ma per terra si intravedevano tracce di fuochi e mozziconi di sigarette: denotavano la sosta di individui in quel posto celato sottoterra. Forse una lunga sosta.

Nell’angolo più profondo della camera sotterranea scavata nella roccia, all’incirca a quattro metri di profondità, c’era una lastra squadrata. Era alta un metro, larga quaranta centimetri: una sorta di pietra tombale che, forse, chiudeva il sepolcro… era il suo sigillo. 

I giovani la sollevarono, scoprendo un sottostante pertugio, largo appena mezzo metro, comunicante con un ambiente sottostante, forse ci trovavamo dinnanzi ad una seconda tomba.

Cosa accadde?

Dentro la camera funeraria sottostante il primo ambiente, Marcello Polastri, il primo che si infilò nel sottosuolo, trovò un’anfora di terracotta. Era alta circa 40 centimetri, aveva evidenti segni di pitture, quasi certamente ottenuti con l’ocra rossa.

In un batter d’occhio i giovanotti focalizzarono che il luogo era stato visitato dai tombaroli, che peraltro avevano abbandonato o lasciato temporaneamente nel sito due grossi palanchini in acciaio, un piccone e due pale. 

Uno dei nostri amici, che nel frattempo si era recato fuori dalla grotta a cercare aiuto, rientrò a bordo di una pattuglia della Polizia Municipale: gli agenti, gentilissimi, ci aiutarono.

Maneggiandolo con estrema cura, mostrammo il reperto archeologico con un certo entusiasmo e indicammo i cocci sul pavimento.

Gli agenti, che a loro dire ci conoscevano per altre peripezie nel sottosuolo di Cagliari (allora coadiuvavamo una televisione locale per realizzare una trasmissione sul sottosuolo), ci chiesero di prelevare – con le nostre abilità nella discesa per grotte – gli oggetti dimenticati dai predatori dell’arte perduta.

Poi, dopo aver stilato un verbale sul ritrovamento, domandandoci i nostri nominativi e recapiti, ci invitarono a prenderci cura del reperto, qualora le autorità competenti avessero deciso di occuparsi del caso!

Portammo quel prezioso manufatto negli uffici della Soprintendenza Archeologica che raggiungemmo in autobus, nella sede nella Cittadella dei musei in piazza Arsenale.

Consegnammo il reperto ad un archeologo che di li a poco divenne un caro amico e collaboratore del GCC.

Era l’illustre professor Enrico Atzeni. Archeologo (che per decenni collaborò con Giovanni Lilliu), e disse a Marcello Polastri, rilasciando una ricevuta firmata con l’allora direttore-archeologo Carlo Tronchetti: “l’anfora è punica, databile al IV secolo A.C. ed è una fortuna che è stata sottratta ai tombaroli. Il nostro museo terrà il reperto in grande considerazione“.

Note tratte da un articolo edito nel 1994 dal quotidiano L’Unione Sarda.

 

Nb. Questo racconto, un fatto realmente accaduto e quasi incredibile se consideriamo l’esistenza di un tesoro a cielo aperto in pieno centro urbano, attesta che alcuni siti dell’area archeologica di Tuvixeddu sono ancor oggi ricchi di reperti preziosi. Purtroppo, nell’area, i tombaroli si sono attivati a lungo per depredare il posto, ricco di grotte, cunicoli, tombe e ipogei. Allora scrivemmo anche ai giornali.

 

Articolo di giornale del 1993

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