Cagliari e il suo oro bianco

Salina1

Cagliari e le saline a due passi dalla spiaggia del Poetto

Il sale è un elemento prezioso. Abbonda dalla notte dei tempi anche nella città di Cagliari. Paragonabile all’ossidiana o alla preziosissima ambra o, se preferite, alla seta e alle spezie, ha lasciato in eredità al capoluogo della Sardegna grandi specchi d’acqua. Sono le vasche salanti che in un certo senso appaiono poetiche quando il tramonto le colora di rosso e fa da scenario alla danza o al volo dei fenicotteri rosa.

Bellezza a parte, le vasche salanti sono il motore dell’estrazione del sale mentre il sole è la vera forza della natura che,   unendo i suoi raggi all’acqua del mare, rende possibile la cristallizzazione ed il deposito del cloruro di sodio. Secondo lo scrittore Francesco Alziator, Cagliari è “la città del sole” e considerato il suo clima mediterraneo favorisce – complici le zone umide a due passi dal mare – l’evaporazione dell’acqua salata.

Affonda però nel cuore della leggenda il primo utilizzo del sale a Cagliari, cosicché datarne con esattezza la produzione appare arduo.

Sappiamo che al tempo degli stanziamenti Fenici (VIII secolo a.C.), l’uso e l’estrazione del sale marino era fiorente nel capoluogo della Sardegna.

 

Salina2In  epoche più recenti, durante la dominazione spagnola e poi con la dominazione sabauda ad esempio, l’estrazione del sale fu oggetto di un apposito monopolio governativo. A quei tempi spalavano il sale le maestranze reclutate fra la popolazione che sopportavano grandi fatiche fisiche: sole scottante, occhi che bruciavano causa l’esposizione alla luce del sole e alla salsedine. Dal 1700 alla prima metà del Novecento per espressa volontà del governo Sabaudo furono impiegati, in questa dura attività lavorativa, i condannati ai lavori forzati che rivoluzionarono le vasche salanti di Molentargius, il grande stagno che un lembo di terra separa  dalla grande spiaggia del Poetto.

Per lavorare il sale giunsero in città dalle prigioni piemontesi tantissimi forzati, ai quali si aggiunsero i malviventi chiusi a chiave nel vecchio carcere cagliaritano della Torre di San Pancrazio ed anche i delinquenti del Bagno penale di San Bartolomeo, situato a breve distanza dalle saline cagliaritane.

I FORZATI si occupavano della realizzazione di grandi vasche salanti, e all’occorrenza delle manutenzioni delle adiacenti vie d’acqua. Nelle vasche salanti, di forma rettangolare, estese centinaia di metri, l’acqua del vicino mare veniva convogliata attraverso canali perimetrali. La profondità del liquido, che sotto i aggi del sole

Antico piano delle saline di Cagliari

Antico piano delle saline di Cagliari

diventava sempre più torbido, una vera salamoia, era inferiore al mezzo metro. Apposite saracinesche e paratie consentivano di regolare i livelli dell’acqua all’interno delle vasche nelle quali la sua evaporazione dovuta ai raggi solari, rappresentava il cuore pulsante delle saline. Anche perché la cristallizzazione del cloruro di sodio avveniva con semplicità, in questo modo.

Era certamente faticosa anche la costante pulizia delle saline che i servi di pena, scalzi, con il volto cotto dal sole e pieno di profonde rughe, portavano avanti da mattina a sera.Tra il 1930 e la seconda guerra mondiale, l’impiego della moderna tecnologia modificò anche a Cagliari il metodo estrattivo del sale e ridisegnò il sistema industriale delle grandi vasche evaporanti, che divennero ancor più efficienti: vere e proprie vasche salanti, dotate di impianti di sollevamento e di canalizzazione delle acque, sorsero in varie parti d’Italia e a Cagliari, in particolare.

Cristalli di sale

Cristalli di sale

Nel capoluogo sardo furono installati, accanto alle vasche di maggior capienza (una di esse è nota come “Bellarosa”), i nastri trasportatori e i setacci automatici per le grandi quantità di sale prodotto. Così, anche la forza muscolare di centinaia di uomini, degli ex galeotti, divenne un lontano ricordo e un numero sempre più esiguo di operai lavorò per produrre il sale. Avvenne nel 1984 la chiusura delle Saline di Stato, causa la concorrenza con altre saline nazionali ed internazionali ma anche per ragioni igienico-sanitarie dovute, queste, alla tracimazione di acque altamente inquinate dal complesso di vasche salanti. Esattamente dal bacino Bellarosa minore alle vasche del Bellarosa maggiore.

Oggi, a distanza di decenni dalla cessata attività di estrazione del sale, nello stagno di Molentargius restano gli impianti di terra, le vasche, i binari sui quali i carrelli trasportavano il sale, come in una miniera a cielo aperto, una miniera d’oro bianco per la quale Cagliari e la Sardegna furono raggiunte da vari popoli e civiltà: Fenici, Punici, Romani, Pisani, Spagnoli, Catalano-aragonesi e Piemontesi.

Tuttavia, se da un lato la produzione della preziosissima polvere salata è cessata, la circolazione e la regimazione delle acque lagunari va avanti, anche grazie a una serie di canali laterali che, tramite una apposita idrovora, pompa acqua nelle saline mantenendo integro un particolare ecosistema naturale implementato, per una considerevole parte, dall’uomo.

Marcello Polastri

 

Commenti