Nel monumentale Acquedotto di Karales

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Un cunicolo sotterraneo dell’acquedotto

Si sviluppava per circa 30 miglia terrestri il lungo cunicolo sotterraneo dell’Acquedotto romano di Karales.

A crearlo furono maestranze giunte dall’antica Roma: uomini di potere, dotati dell’astuzia necessaria per manovrare macchinari e schiavi. Gente che aveva necessità dell’acqua da convogliare nelle terme di Cagliari.

Nella sola via Sauro e in viale Trieste sono stati individuati circa duemila metri quadrati di ambienti adibiti a vasche, anche mosaicate e nelle quali i Romani, nei primi secoli dopo la nascita di cristo, erano soliti immergersi, e parlare, insomma di decidere le sorti della Sardegna.

I Romani fecero aprire una serie veramente impressionante di condotte sotterranee che lasciarono una impronta indelebile nella sagomabile roccia di Cagliari. Alcuni tratti dell’antico idroforo, come lo chiamò lo storico Vittorio Angius (asserì anche di averlo percorso, nel 1800, per diversi chilometri…), furono realizzati in muratura, usando particolari mattoni di terracotta e lastre di chiusura. I veri e propri embrici come ad esempio questi visibili nelle immagini.

Sono fotografie esclusive realizzate durante una recente ricognizione speleologica nel sottosuolo di Elmas, a pochi chilometri da Cagliari. In questo caso specifico, a Elmas, il tratto dell’acquedotto romano portava l’acqua – si racconta – dalla zona di Siliqua per poi raggiungere Decimo, Assemini e Elmas, infine Cagliari. Il percorso dell’acquedotto superava i 48 chilometri di lunghezza e attraversava l’area del Sulcis e del Campidano meridionale, ma superava, con ponti monumentali, la vallata del fiume Cixerri, ma anche i fiumi alle porte di Cagliari, numerosissime colline.

 

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Antico Puteo

Dai pozzetti di ispezione, i cosiddetti putei, profondi in taluni casi 10 ed in altri 18 metri, gli antichi controllavano la pulizia della condotta, il livello dell’acqua, ed effettuavano eventuali lavori di manutenzione. Almeno così ci raccontarono studiosi come G. Spano, Maria Elena Piredda, Antonello Floris, Marcello Polastri, per citarne alcuni.

E’ suggestivo ripercorrere la storia camminando in questi ambienti sotterranei. Perché spesso, nel leggerla da “di sotto”, la storia, non appare simile a quella che in tanti ci hanno raccontato… Anzi, è molto differente, e svela aspetti incredibili, immagini inedite di un passato da raccontare. 

L’Acquedotto di Karales con i suoi sotterranei, le vasche di captazione, di decantazione, i pozzi per la raccolta dell’acqua, scavati con ardue fatiche sottoterra, sono una monumentale testimonianza della storia antica. Queste opere meriterebbero un occhio di riguardo e perché no, una valorizzazione seria e meticolosa.  

Nel frattempo, infatti, sorge spontaneo chiederci: a chi sta a cuore l’acquedotto romano, i suoi chilometri di sviluppo sotterraneo? Quali segreti custodisce, quali reperti sono stati ritrovati al suo interno, e dove sono conservati?

Ancora: chi pensa a far luce su questi beni, burocrati a parte? Quale sarà la condizione conservativa di questi beni che il Codice dei Beni culturali, in quanto tali, dovrebbe tutelare e/o far tutelare dagli enti preposti?

Ne riparleremo. 

 

 

 

 

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